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LUGANOEffetto pollicino: le tracce lasciate navigando sul web

21.06.18 - 07:00
Web e privacy possono tranquillamente andare a braccetto oppure viaggiano su due strade opposte? Quali sono i dati che giriamo più o meno inconsapevolmente agli operatori?
Effetto pollicino: le tracce lasciate navigando sul web

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Web e privacy possono tranquillamente andare a braccetto oppure viaggiano su due strade opposte? Quali sono i dati che giriamo più o meno inconsapevolmente agli operatori?

Grazie alla GDPR Europea e a celebri contenziosi che hanno coinvolto dei colossi come GoogleFacebook, il tema della privacy online è prepotentemente tornato alla ribalta.

In realtà, a meno che non si prendano delle contromisure da servizio di spionaggio, chiunque navighi su internet è tracciato da più soggetti e fin nei minimi dettagli.

Partiamo dall’essenziale: chiunque naviga su internet rilascia un proprio codice, denominato “codice IP”, rilasciato dal provider di servizi. L’IP permette di capire chi sei e da quale punto di accesso ti stai collegando. In altre parole, è il pilastro della geolocalizzazione da parte di operatori virtuali che ci offrono dei servizi (come ad esempio Google Maps che rileva dove sei e ti guida verso la destinazione finale).

Inoltre gli internet provider possono rivendere ad agenzie pubblicitarie o altre aziende interessate, le cronologie di navigazione dei propri utenti, al fine di carpirne comportamenti e preferenze.

Ma è soprattutto attraverso il nostro browser che siamo in grado di segnalare – oltre al tipo di browser stesso che utilizziamo per navigare – quale sistema operativo usiamo, il nostro processore, il dispositivo utilizzato e altre specifiche di sistema.

Pertanto, i proprietari dei siti web agganciati a servizi di monitoraggio come Google Analytics, riescono a vedere in tempo reale quali pagine stiamo visitando, il tempo di permanenza, su quale sito abbiamo navigato in precedenza, se siamo arrivati tramite motore di ricerca o link da Social Media e altro ancora.

Alcuni tool riescono persino ad intercettare quali parti della pagina osserviamo più a lungo e che tipo di azioni compiamo, come ad esempio compilare un form di contatto o cliccare un determinato bottone.

Altre tracce delle nostre preferenze vengono lasciate attraverso i vari cookies inseriti nei vari siti internet.

Quelli spesso più “aggressivi” e talvolta fastidiosi sono i cookies di carattere pubblicitario. Vi è mai capitato di visionare la pagina di un albergo dove volete soggiornare e poi rivedere dei banner pubblicitari dello stesso albergo nei siti web più improbabili? Ecco, ciò avviene sempre tramite i famigerati cookie.

Altre tracce vengono lasciate più o meno consapevolmente a Google o a Facebook, le vere “prime donne” della rete.

Il motore di ricerca di Mountain View registra tutte le nostre ricerche. Inoltre, grazie all’integrazione tra più servizi (Youtube, Gmail, My Maps ecc.), Google è veramente in grado di fare una radiografia di chi siamo e ciò che ci più ci piace.

Stesso discorso per Facebook. Oltre all’ovvio (lista degli amici, hobbies, recapiti di contatto personali, luoghi in cui siamo stati), il Social di Zuckerberg può estrarre altre nostre caratteristiche più nascoste ma in grado di indirizzarci verso determinate scelte (il caso Facebook-Cambridge Analytica è un esempio lampante).

Quanto detto finora non copre tutte le casistiche, che nella realtà sono molto più alte.

La domanda, finale e naturale è: abbiamo una maniera per proteggerci?

In parte sì, in parte no.

“In parte sì” perché sia i browser, sia alcuni siti specifici, ci offrono delle opzioni anti-track per evitare di essere tracciati. Inoltre, siamo noi che spesso autorizziamo gli operatori a carpire i nostri comportamenti, tramite informative non sempre chiare e a volte chilometriche, che accettiamo per noia o perché ci sentiamo quasi costretti. Basta negare il consenso – o revocarlo – per poter essere, almeno sulla carta, al sicuro.

“In parte no” perché non tutti gli operatori giocano pulito e a volte girano i nostri dati personali a terzi ignorando qualsiasi nostra autorizzazione o normativa sulla protezione dei dati. Inoltre, per come è costruita oggi, l’esistenza del web si basa sul tracciamento dei dati, e il tracciamento dei dati significa marketing. Impedire un tracciamento tout-court vorrebbe dire far chiudere gran parte di coloro che su internet ricavano buona parte – o tutto – il proprio fatturato.

Insomma, finché il tracciamento non urta sensibilmente il nostro modo di vivere, possiamo anche chiudere un occhio. Perché, come dicono in maniera statuaria molte informative sui cookie, il tracciamento può anche consentire una migliore esperienza di navigazione!

Articolo a cura di Clublab Sagl, siti web e grafica in Ticino


Questo articolo è stato realizzato da Linkfloyd Sagl, non fa parte del contenuto redazionale.