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CANTONE/STATI UNITIDentro il rock'n'roll dei Dirty Fences

08.08.18 - 06:00
Incontro a 33 giri con gli americani Dirty Fences, sbarcati al Lido San Domenico di Castagnola il 5 agosto per uno show adrenalinico in programma alle 21, annullato all’ultimo minuto causa temporale
Foto MS
Da sinistra Max Roseglass, Jack Daves, Max Comaskey, Max Heirsteiner.
Da sinistra Max Roseglass, Jack Daves, Max Comaskey, Max Heirsteiner.
Dentro il rock'n'roll dei Dirty Fences
Incontro a 33 giri con gli americani Dirty Fences, sbarcati al Lido San Domenico di Castagnola il 5 agosto per uno show adrenalinico in programma alle 21, annullato all’ultimo minuto causa temporale

di Marco Sestito

LUGANO/NEW YORK - Con l’area palco invasa dall’acqua, per Jack Daves (voce, chitarra), Max Comaskey (voce, basso), Max Hiersteiner (batteria) e Max Roseglass (chitarra) risultava complicato - e alquanto rischioso - dare il via al soundcheck - a base di rock’n’roll, nudo e crudo - non appena attraccato, attorno alle 19. E, di conseguenza, poco più tardi, alla performance vera e propria. Ma i Dirty Fences «sono tornati a trovarci anche oggi (lunedì, ndr), con la promessa di recuperare lo show perso l’anno prossimo!», si legge nel post pubblicato su Facebook da Lido San Domenico & La Buvette, promotori della serata con Dead Valley Skeletons.

Domenica sera la pioggia persistente non ha però impedito al gruppo di raccontarsi a fondo, davanti a un Aperol Spritz...

Ragazzi, torniamo ai primi giorni dei Dirty Fences...

Jack: «Frequentavamo tutti lo stesso liceo di Boston. L’embrione del gruppo ha preso forma dodici-tredici anni fa, da quelle parti. L’organico comprendeva me, Max Comaskey e Max Hiersteiner. La line-up si è ampliata a quattro nel momento in cui, nel 2009, dopo avere scelto come nuova base operativa Brooklyn (New York), abbiamo reclutato Max Roseglass, che conoscevamo dai tempi della scuola e che, come noi, si era da poco trasferito a New York».

A livello musicale, Boston mi sembra tuttora in prima linea... Perché New York?

Jack: «New York offre comunque maggiori opportunità...».

Perché Dirty Fences?

Max Hiersteiner: «Abbiamo pensato a Dirty Fences dopo avere scoperto i Dirty Mac, il supergruppo nato nel 1968 per il Rock’n’Roll Circus degli Stones, con John Lennon ed Eric Clapton alle chitarre, Keith Richards al basso e Mitch Mitchell alla batteria».

In quel periodo che altro ascoltavate, in particolare?

Jack: «“Transformer” (RCA, 1972) di Lou Reed».

Max Hiersteiner: «“NRBQ At Yankee Stadium” (Mercury, 1978), così come i Devo, i Ramones, i Cheap Trick (“At Budokan”, Epic, 1978)...».

Quali le cover delle vostre prime setlist?

Max Comaskey: «“Vicious” di Lou Reed».

Mai registrata, però...

Max Roseglass: «No. Ma su uno split - “Sweet Times - Volume 1”, pubblicato nel 2013 dalla Who Can You Trust?, figura la nostra versione di “Will Anything Happen?” dei Blondie…».

Raccontatemi del vostro primo ep, omonimo, pubblicato tramite Volcom Entertainment nel 2012 e ristampato l’anno scorso da Dirty Water Records...

Jack: «Raccoglie canzoni scritte al liceo, così come materiale venuto alla luce poco prima di entrare in studio...».

Max Comaskey: «La ristampa, come hai potuto vedere, contiene due bonus, “2x2” e “Sell Your Truth”, registrati nel 2016...».

E ora, seppur in breve, ditemi delle registrazioni dei tre album...

Max Comaskey: «Abbiamo registrato il primo, “Too High To Kross” (Volcom Entertainment, 2013), a Memphis, Tennessee, in due settimane, tra le mura dell’High/Low Recording, affidando il mastering agli Ardent Studios, anch’essi, come sai, di base nella medesima città».

Max Hiersteiner: «Al secondo, “Full Tramp” (Slovenly Recordings, 2015), serviva un'impostazione lo-fi, per cui la scelta di adibire a studio il mio scantinato si è rivelata la più azzeccata...».

Max Comaskey: «“Goodbye Love” (Greenway Records, 2017), infine, con le sessioni di registrazione curate da mio fratello minore (Miles Comaskey, ndr), ha preso forma a Hoboken, New Jersey, ai Moonlight Mile Studios».

Rispetto ai precedenti, prettamente garage-punk oriented, “Goodbye Love” risuona più power pop...

Max Hiersteiner: «Credo si tratti di un’evoluzione naturale del nostro percorso, che si è riflessa, in particolare, sul nostro approccio compositivo...».

 

 

 

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