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REGNO UNITO/ITALIAHypnotics, redivivi e incendiari

04.07.18 - 06:00
In questo 2018 Jim Jones ha ricostruito la sua prima creatura, gli Hypnotics
Hypnotics, redivivi e incendiari
In questo 2018 Jim Jones ha ricostruito la sua prima creatura, gli Hypnotics

di Marco Sestito

LONDRA/SALSOMAGGIORE (PARMA) – Tra il 1985 e il 1999 la band recuperò, in un amalgama sonoro deflagrante, il proto-punk degli Stooges, degli MC5 e la psichedelia (hard) dei Blue Cheer.

Ho incontrato Jones (voce) venerdì scorso fuori dall’hotel che lo ha ospitato per una notte a Salsomaggiore Terme (Parma). Poche ore prima di vederlo sul palco del Festival Beat – impegnato in una performance incendiaria - con Ray Hanson (chitarra) – con cui nel 1985 diede vita al combo -, Phil Smith (batteria; nelle fila degli Hypnotics dal 1989 al 1999) e il bassista Gavin Jay, con il quale, dopo l’esperienza nella Jim Jones Revue (2007-2014), ha messo a punto il progetto – sulle scene dal 2014 - Jim Jones and the Righteous Mind.  

Jim, perché questa reunion a quasi vent’anni dallo scioglimento?

«Era un po’ di tempo che pensavamo di tornare a unire le forze. In particolare, dopo avere ricevuto l’offerta da parte di alcune label indipendenti spagnole – tra cui la Bang! Records - interessate a ristampare i nostri dischi. Perciò, ho ripreso contatto con gli addetti ai lavori della Beggars Banquet per capire come avremmo potuto muoverci per i diritti. Ma di lì a poco, mi sono ritrovato per le mani una loro controfferta. Alla fine, la Beggars Banquet ha dato alle stampe - in vinile - “Righteously Re-Charged”, un box set uscito l’8 giugno: al suo interno i nostri tre album rimasterizzati – “Come Down Heavy” (Beggars Banquet/Situation Two, 1990), “Soul Glitter & Sin (Tales From The Sonic Underworld)” (Beggars Banquet/Situation Two, 1991), “The Very Crystal Speed Machine” (American Recordings, 1994) – e “In A Trance (Thee Early Daze 86-89)”, una raccolta di nove tracce (tra cui demos e Peel Sessions) rimaste finora nei nostri archivi…».

Come ricordi i primi giorni della band, nel 1985?

«Io e Ray frequentavamo la stessa scuola: a differenza di tanti altri ragazzini, noi non facevamo parte dell’establishment. Ed entrambi non ascoltavamo ciò che all’epoca andava per la maggiore. Eravamo ammaliati dal rock’n’roll, da gruppi come i New York Dolls e i Cramps…».

E gli Stooges?

«Hanno incominciato a girare sul piatto poco dopo, dopo avere ascoltato gli MC5».

Raccontami, in breve, le registrazioni di “Come Down Heavy”, a cui hanno preso parte anche Dick Taylor e Phil May…
 
«Incontrammo Dick e Phil non appena arrivammo in sala, ai Wardour Studios a Soho, che, come già saprai, erano il quartier generale dei Pretty Things. Ascoltarono per un po’ le nostre session, per poi aggregarsi a noi in un paio di pezzi: Phil figura all’armonica in “Bleeding Heart”, mentre Dick è alla chitarra in “Unearthed”».

Il missaggio dell’album fu affidato a Jack Endino, colui che forgiò il sound della Sub Pop...

«Eravamo appena rientrati dagli Stati Uniti, dove avevamo portato a termine un tour con alcune band della scuderia Sub Pop - che, per inciso, in territorio americano, nel 1989, pubblicò il nostro “Live’r Than God” -. Le sonorità che distinguevano la label ci ammaliarono. E volevamo sentirle traboccare anche dai microsolchi di “Come Down Heavy”...».

 

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