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ITALIASick Rose: «Continuiamo a cercare una nostra condizione ideale»

09.05.18 - 06:00
Luca Re narra la genesi di “Someplace Better”, il nuovo album della sua band, i Sick Rose. Di Marco Sestito
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Sick Rose: «Continuiamo a cercare una nostra condizione ideale»
Luca Re narra la genesi di “Someplace Better”, il nuovo album della sua band, i Sick Rose. Di Marco Sestito

TORINO - Coloro che nel mezzo degli anni Ottanta importarono in Italia e in Europa le sonorità neo-garage, lo scorso 23 marzo, tramite Area Pirata, hanno pubblicato - in vinile, cd e digitale - il nuovo disco, il settimo in studio.

Undici canzoni ammalianti - messe a punto da Re (voce), Diego Mese (chitarra), Giorgio Cappellaro (chitarra), Valter Bruno (basso) e Alberto Fratucelli (batteria) con la produzione di Ken Stringfellow (R.E.M., Posies, Big Star, Marky Ramone Band) - che riportano nei microsolchi l’intero bagaglio musicale del gruppo, ossia il puro garage degli esordi, il rock’n’roll e il proto-punk degli album successivi, così come il power pop degli ultimi lavori.

Luca, raccontami il concepimento di questo nuovo disco...

«I brani sono stati composti quasi tutti tra il 2015 e il 2016. Abbiamo suonato molto in quel periodo, portando in giro per l’Europa lo spettacolo che celebrava i 30 anni del nostro primo album, “Faces” (Electric Eye Records, 1986): avevamo molte idee per la testa e molta energia; alla stesura delle canzoni ha contribuito ogni componente della band…».

Quando ci siamo sentiti l’ultima volta, nel 2015, mi dicevi che nell’album avreste potuto inserire una cover degli Off Broadway. Non è accaduto...

«Abbiamo provato parecchio quel pezzo, si trattava di “Bad Indication”. Alla fine, ci siamo resi conto che i nostri undici brani originali bastavano, optando per un disco che - per la prima volta nella nostra storia - non presenta cover...».

“Bad Indication” potrebbe comunque essere la b-side di un ipotetico nuovo singolo?

«Non so. Per il momento non abbiamo in programma nuove registrazioni. Ci sono ancora dei brani inediti che devono essere missati: se mai decidessimo di fare un singolo, utilizzeremo magari una di quelle canzoni…».

Dopo due dischi con la produzione di Dom Mariani (Stems, Someloves), questa volta vi siete affidati a Ken Stringfellow. Perché questa scelta?

«Volevamo un suono diverso, diciamo più contemporaneo. Apprezziamo Ken per tutto ciò che ha fatto; in particolare, per la sua attività con i Posies. A nostro avviso, si è rivelata una scelta azzeccata: ci siamo trovati benissimo e speriamo di poter lavorare con lui anche in futuro».

Come ha preso forma la collaborazione?

«Ci eravamo già incontrati ad Amburgo quindici anni fa. Non abbiamo perso i contatti e nel 2016 ci siamo rivisti qui a Torino per pianificare insieme le registrazioni del disco. Ken vive in Francia e in quattro ore può raggiungerci facilmente: tant’è vero che abbiamo appena concluso un mini tour con lui alle tastiere e ai cori, e a dicembre andremo insieme in Spagna, dove spero si presentino altre opportunità per poter proseguire la collaborazione in dimensione live».

Cosa vuoi dirmi del titolo, “Someplace Better”?

«Sintetizza una nostra costante, siamo sempre nel posto giusto al momento sbagliato! Continuiamo a cercare una nostra condizione ideale, consapevoli del fatto che comunque in pochi capiscono il nostro percorso. Anche negli anni Ottanta, quando facevamo garage, in realtà eravamo degli outsiders, quella musica interessava a una ristrettissima minoranza. Oggi un certo tipo di suono è stato sdoganato, ma a noi non interessa più...». 

Nell’album si respira comunque una moltitudine di influenze...

«Abbiamo cercato di condensare su un disco tutte le cose che ci piacciono, non saprei definire/etichettare il suono. Siamo sempre noi, ma questa volta, a mio avviso, il frullato è venuto meglio...».

Raccontami le registrazioni...

«Sono state effettuate qui a Torino, negli studi di Max Laredo, tra luglio e ottobre 2017. Dopodiché, Ken ha missato tutto in Francia, aggiungendo tastiere, chitarre acustiche e una parte di cori».

Sono passati più di dieci anni dal vostro unico concerto in Ticino… Non credi sia arrivato il momento di ripresentarvi sul palco anche da queste parti?

«In Svizzera abbiamo suonato davvero raramente, non so perché… Purtroppo, non abbiamo contatti... Noi, comunque, siamo sempre pronti a tornare!».

 

 

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