L’ultima avventura del samurai silenzioso di Konami è un capolavoro a tutti gli effetti
OSAKA - Malgrado la genesi travagliata l’ultima avventura del samurai silenzioso di Konami è un capolavoro a tutti gli effetti.
Su Metal Gear Solid V: The Phantom Pain e il suo autore Hideo Kojima si è detto tutto e il contrario di tutto. C’è chi ha parlato di rottura, chi di sgretolamento chi di esclusione totale quasi violenta e vero e proprio terrorismo psicologico perpetrato dalla casa madre Konami ai danni del team di sviluppo. In questi casi, parlo dei parti travagliati, quando poi i giochi escono sono dei veri e propri pastrugni.
MGSV invece di codesta regola quasi aurea se ne frega e non solo di questa. È un titolo rivoluzionario non nel senso che innovi, per carità, ma nel senso che ha una voglia scalpitante di cambiare tutte le carte in tavola.
I fan di Metal Gear Solid lo sanno bene: l’eroico Snake dà il meglio di sé se chiuso in stanze e in livelli circoscritti e levigati all’inverosimile. Lì il gioco farà le scintille vere, complice un design e un sistema di controllo da vero monaco certosino.
The Phantom Pain in questo senso è una vera e propria esplosione: addio stanzette (MGS 1&2), addio giungle sezionate in settori (MGS3) e benvenuto mondo aperto in puro stile Rockstar. E tutto senza perdere un filo di pulizia ma guadagnando tonnellate e tonnellate di roba da fare.
L’Afghanistan che esploreremo con un redivivo Big Boss (anche questa volta tocca a lui) scintilla e entusiasma ogni istante che passa. Preparatevi ai classici tocchi alla Kojima, spesso e volentieri sopra le righe. Tipo i cattivoni in stile X-Men, le tirate samuraiesche e le pure e semplici idiozie. Roba d’autore che può piacere o meno ma che non offusca l’estrema qualità di un titolo che ha anche il sapore amaro dell’addio. È quasi certo, ormai, che la serie rimarrà orfana di padre.
VOTO: 10/10