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Gli OpinionistiLa farfalla e il dittatore

20.04.21 - 11:45
di Monica Piffaretti
Monica Piffaretti
La farfalla e il dittatore
di Monica Piffaretti

Icona mondiale di destrezza acrobatica fino a raggiungere la perfezione dei memorabili 10 inanellati per le prestazioni ginniche alle Olimpiadi di Montréal del 1976. Parliamo di Nadia Comaneci oggi simbolo altrettanto mondiale della persecuzione (il termine ci sta tutto) che una ragazzina può subire. Un libro, da poco pubblicato, racconta le torture fisiche e psichiche patite e soprattutto il controllo totale esercitato su di lei dalla polizia politica di Ceasescu. Il suo titolo è ‘Nadia e la Securitate’, la polizia segreta rumena. Già se ne sapeva molto del prezzo personale pagato per far suonare l’inno nazionale all’ombra del simbolo olimpico.

E già si sapeva che, dietro la leggerezza della farfalla di Bucarest, ci fosse il terrore. Ma il libro dà di più: torna sul capitolo della guerra fredda e delle dittature che annientano l’individuo fino a servirsene come oggetti di propaganda. L’atleta viveva in una ragnatela di sorveglianza: servizi segreti, medici assoldati, pianisti venduti. Tutti a controllarla. Pensare che più tardi riuscì a fuggire verso l’Ungheria nello straordinario 1989 sembra un miracolo. Che se ne riparli più a fondo è interessante: il tema merita, anche in una prospettiva di lettura storica degli anni di ghiaccio. L’autore del libro è uno storico, Stejarel Olaru, che oltre a consultare numerosi documenti ha potuto parlare con l’ex-atleta oggi 59enne e residente negli Usa.

Nel provare orrore siamo tuttavia meno ingenui. Già, perché anche nel nostro paese, una solida democrazia senza ambizioni geopolitiche di sorta, i famigerati ‘Protocolli di Macolin’, rivelati dalla stampa lo scorso anno, e anche altre dolorose testimonianze, hanno svelato pratiche insostenibili dietro molte ambizioni e medaglie. L’indignazione generale sollevata e anche la promessa della ministra Viola Amherd che ciò non abbia più ad accadere ci fanno ben sperare. La cortina del silenzio è caduta, ma occorre vegliare.

Tornando alla Comaneci, ricordo gli anni in cui volteggiava leggiadra. Più o meno sua coetanea, la vedevo in tivù e la ammiravo. Ma ho avuto la fortuna di non invidiarla. Facevo altro: corse, alberi, bici, biglie, natura… senza podi per un’infanzia spensierata e ‘terrosa’ che ogni bambino dovrebbe avere il diritto di avere. Anche nelle piccole realtà lontane dai riflettori mondiali e dai giochi di potere ideologici, c’è infatti chi proietta su esserini in costruzione tanto, troppo, senza riconoscere la bellezza della loro libertà di crescere, di scegliere e di non competere. Se raccontare le vite di chi tanto ha sofferto dietro sorrisi imposti ha un senso deve essere questo: produrre una diversa cultura sportiva e assicurarsi che non si ripeta.

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