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MONDOQuando il game ti chiede soldi: «È come il gioco d'azzardo»

30.04.18 - 06:05
Da chi spende 100 di franchi per trovare Messi in Fifa 18 a chi si rovina per un avatar, il problema delle “loot box” che il Belgio ha reso illegali
Quando il game ti chiede soldi: «È come il gioco d'azzardo»
Da chi spende 100 di franchi per trovare Messi in Fifa 18 a chi si rovina per un avatar, il problema delle “loot box” che il Belgio ha reso illegali

LUGANO - Attaccanti più prestanti, armi più potenti ma anche solo armature più colorate e belle da vedere. Per trovarle bisogna avere fortuna e, soprattutto, pagare. Quella delle "loot-box"” (scatole del tesoro, ndr.) è una pratica sempre più diffusa nel mondo dei videogiochi.

Oltre al prezzo del titolo, diversi titoli d'oggi - come i campioni d’incassi "Fifa 18" e "Overwatch" - seducono il gamer a mettere mano alla carta di credito per acquistare dei pacchi-sorpresa il cui contenuto è in mano al caso.

Come le figurine, insomma, ma il cui principio diverse corti internazionali hanno reputato vicino al gioco d’azzardo. È il caso Cina, Olanda e Belgio che hanno chiesto alle aziende interessate di rimuovere il sistema di microtransazione o incorrere in sanzioni.

Nel caso del Belgio, l’ultimo, a decidere è stata una commissione stabilita ad hoc e che ha analizzato il funzionamento delle "loot box" su scala internazionale. Fra le motivazioni addotte la non-trasparenza e aleatorità del sistema e il rischio di dipendenza, soprattutto fra i più giovani. Ne abbiamo parlato con l’esperto di videogame Davide Canavesi di Joypad.ch.

Davide, secondo te si può parlare davvero di gioco d’azzardo?

«Si può parlare di gioco d’azzardo quando un meccanismo di vendita non prevede una contropartita sicura. Le "loot-box" vengono vendute ad un prezzo fisso ma con una semplice "possibilità di ottenimento" dell’oggetto desiderato. Essendo le probabilità di ottenere un oggetto di valore solitamente molto basse, la fortuna gioca un ruolo determinante. Quindi, le loot box non sono diverse dalle lotterie o dal giocare a poker».

Tu cosa ne pensi, in generale, dell’implementazione dei loot-box nei titoli moderni?

«Le loot box sono un meccanismo profondamente dannoso per l’industria dei videogiochi. Principalmente perché molti dei fruitori di tali giochi sono giovani i quali non hanno le capacità di comprenderne i meccanismi economici. Secondariamente, i videogiocatori possono investire a livello emotivo e di tempo molto in un gioco. Quindi, la tentazione di "barare" spendendo soldi sperando di ottenere un oggetto raro e desiderabile è fin troppo forte. Il fatto che molti sviluppatori non siano trasparenti sulle reali possibilità di vittoria poi rende il meccanismo troppo simile ad una truffa».

Se al loro interno si trovano solo beni cosmetici e che non avvantaggiano il giocatore, dove starebbe il problema?

«Il problema principale, da un punto di vista dell’etica del gioco, è rappresentato dalle loot box che contengono oggetti che danno un reale vantaggio di gioco. Chi spende di più, potenzialmente può vincere più facilmente. I beni cosmetici pongono un problema minore per quanto riguarda i meccanismi di gioco. Tuttavia il problema della mancanza di trasparenza e dell’autocontrollo rimane inalterato».

Pensi che attualmente i videogiochi abbiano un problema per quanto riguarda le microtransazioni e debbano rivedere i propri piani di business?

«Assolutamente sì. Le loot box sono un modo facile e rapido per guadagnare soldi. Tuttavia gli svantaggi sono molteplici e non solo per i consumatori. Molte aziende stanno facendo i conti con la rabbia dei propri clienti quando i sistemi di loot boxing implementati sono esagerati. Continuare su questa strada farà sì che sempre più governi si interessino alla questione per arginare il fenomeno. Una revisione fatta dall’interno sarebbe sicuramente auspicabile. Principalmente per trattare in modo più responsabile i propri clienti, specialmente i giovanissimi ma anche per evitare di dover fare i conti con una miriade di legislature differenti, le quali complicherebbero enormemente lo sviluppo e la messa sul mercato di prodotti videoludici».

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