Deborah e Angelo hanno fatto del sentimento nazionale un marchio: con gadget rossocrociati e slogan in ticinese.
CANOBBIO - Quale evento più caro del 1° agosto, per chi della Svizzera ha fatto un brand. «Abbiamo cominciato per scherzo, in occasione dei mondiali del 2014: volevamo fare qualcosa di originale, anzi, di patriottico». Due anni dopo, «siamo ancora qui». A vendere magliette, cappellini, ciabattine; oppure tappetini per il mouse, tazze per la colazione, auricolari, adesivi, borse per il tempo libero: tassativamente rossocrociati, griffe di un trend «100% svizzero», meglio ancora se «Cent par cent Ticines», che sfrutta il dialetto per far leva sul sentimento nazionale.
Meglio il contatto umano - «Vanno alla grande, specie durante le feste»: quando Deborah Moresi e Angelo Petraglia allestiscono la loro bella bancarella di prodotti che celebrano il senso di appartenenza a un Paese, e/o a un Cantone. E già sanno che la gente arriverà a domandare, a fare chiacchiere, a comperare. «Lo si potrebbe fare anche online, ma si preferisce il contatto umano. Non ce lo immaginavamo, ma abbiamo acquisito anche una funzione sociale: le persone si fermano incuriosite, si sentono a casa e ci raccontano gli affari loro, anche le cose più personali».
Una grande famiglia - Merito di un nome e un colore che trasmettono fiducia, familiarità: e che per Deborah e Angelo, compagni di vita e gestori di un centro stampa a Canobbio, sono stati una fortuna, anche se insufficiente per guadagnarci il pane. «Bisognerebbe incrementare il business, estenderlo anche al resto della Svizzera invece che fermarci al Gottardo: ma per ora non abbiamo in programma niente del genere».
Galeotta fu la notte: e il calcio - Non era nelle previsioni, quella notte dopo tanto pensare a come celebrare la partecipazione a Brasile 2014. «D'un tratto ho pensato: il dialetto, perché no? In fondo il ticinese è sempre stato un po' discriminato, da questo punto di vista. Difficile trovare qualcosa che lgli renda omaggio, sia pur anche solo in italiano. In Svizzera francese o tedesca è diverso. Qui eravamo un po' perduti. Così abbiamo scritto qualche frase patriottica, le abbiamo portate a tradurre da un esperto: in dialetto luganese. Bisognava fare una scelta, chi abita nelle Valli riconoscerà che non è uguale al suo ma non storcerà troppo il naso».
«Legati alla nostra terra» - "Sem poc ma ga sem", la più apprezzata, "Cent par cent ticines", a seguire: ma va anche il "100% Svizzero", stavolta in numero e in italiano. «E i prodotti ber bambini. Si vendono bene: a prescindere dagli eventi. In concomitanza con questi europei, ce lo dicevano. "Non è possibile, gli italiani non comprano mai, neanche quando vincono. Gli svizzeri anche quando perdono". Non c'è storia: siamo più attaccati alla nostra terra».
Una sola (piccola) pecca - Ecco dunque l'idea di farci un business: che non vuol dire soldi. Sarebbe come sminuire il proprio essere svizzero, cui ci si vota. E che non ha identikit: «Arriva l'anziano, il ragazzino, il professionista. Qualcuno scherza: "Devo mostrarvi il passaporto?". C'è chi acquista per sé, chi per fare un regalo. E chi viene una volta di solito ritorna». Peccato per la stoffa, che «confesso: non è svizzera: le maglie le comando da un fornitore locale, ma lui le compra fuori e io non posso farci niente. Poi le stampiamo come vogliamo noi».
Il successo viaggia su Facebook - Ma c'è già abbastanza di cui andare fieri, se quest'anno si è provato addirittura ad arrivare in negozio. «Un punto vendita di Agno e uno nel Bellinzonese, di articoli sportivi. Ma resto convinta: solo andare alle feste, incontrare le persone paga davvero». In fondo è per quello che si è cominciato. E quando capita di veder in piscina o al lido qualcuno che indossa le tue infradito... «Devo essere sincera? Non mi è mai successo. Riscontri ne ho avuti, sì: più d'uno. Ma sui social. Gente che orgogliosa di se stessa rinnova il suo profilo, pubblica fotografie con addosso la maglietta o il cappellino calato sulla testa».