Sempre più qualificate, risolverebbero gran parte delle carenze del mercato del lavoro, ma il numero delle famiglie diurne che si occupano dei bambini altrui crolla
MENDRISIO - Trentamila sono infermieri, insegnanti, persone che potrebbero operare nelle professioni scientifiche; altrettanti potrebbero lavorare in banca o nelle assicurazioni. Poco meno nel commercio, circa 20mila negli alberghi. Ma ci sono anche oltre 15mila tecnici e informatici, preziosi per un settore dove la carenza di personale è tra le più forti. Ebbene, in quest'ultimo caso in particolare si arriverebbe a un bilancio addirittura in attivo, se solo si potesse attingere a chi, invece, resta fuori dal mercato del lavoro: per scelta o più spesso per forza.
Risorse latenti per "colpa" della famiglia - o delle istituzioni? - Donne, nel 60% dei casi, che restano inattive soprattutto per via dei figli: la percentuale non per niente è più elevata, anzi doppia, fra chi ha bambini sotto i 15 anni. Potrebbero risolvere buona parte delle lacune occupazionali della Svizzera che cerca e non trova lavoratori adatti, ma secondo Credit Suisse sono destinate a rimanere risorse latenti. Motivo: la famiglia e la mancanza di asili nido. Lo confermano a modo loro anche le tre associazioni famiglie diurne del Ticino, dagli anni Novanta impegnate ad affidare i figli di mamme che vogliono tornare al lavoro ad altre mamme che invece restano a casa: le cosiddette "famiglie diurne", appunto. Negli ultimi anni, l'associazione Famiglie diurne del Mendrisiotto ha visto incrementare i numeri di richieste; e per la prima volta, l'anno scorso, si è trovata a dire di no.
«Chiedono a noi, che non possiamo contare su di loro» - «Non era mai successo di dover dire "Mi spiace"», ammette la portavoce Giorgia Realini, sottolineando il paradosso: «Nel momento in cui cresce il bisogno, diminuisce il numero di mamme che si mettono a disposizione per curare i figli delle altre, e questo proprio perché sempre più donne desiderano o hanno bisogno di tornare a lavorare. Chiedono aiuto a noi, ma noi non possiamo più contare su di loro, che vogliono o devono riprendere al più presto».
Da cinquanta famiglie a 30 in cinque anni - In cinque anni, il numero di famiglie diurne del Mendrisiotto è passato «da una cinquantina di persone attive a 30. Variazioni e cali ci sono sempre stati, mai mai così sensibili». Il fatto è anche, ragiona Giorgia Realini, che «le madri di oggi sono più formate e vogliono mettere a frutto le loro competenze professionali», altra conferma allo studio di Credit Suisse che vuole le donne una categoria di potenziali lavoratrici altamente qualificate.
Ameno 2-3 richieste d'aiuto a settimana -Così, ogni settimana «riceviamo almeno 2 o 3 nuove richieste. Rispetto al passato, quando il bisogno riguardava per lo più figli in età scolare, oggi la fascia più interessata è 0-3 anni. In Ticino ci sono anche più di una cinquantina di asili nido, ma non sempre coprono una fascia oraria sufficiente. Le persone che si rivolgono a noi, inoltre, hanno un reddito medio-basso, che consente loro di pagare in base al reddito e anche solo 2,80 franchi all'ora. Ma fatichiamo a soddisfarle».
Il serpente che si morde la coda - Il classico serpente che si morde la coda: mamme che vogliono tornare a lavorare, dunque hanno bisogno di aiuto, ma per questo non possono più mettersi a disposizione per le altre. A margine dei motivi del calo potrebbe insinuarsi però anche una ragione economica.
Non lo si fa per soldi, però... - Vero che non lo si fa per soldi, lo si fa per solidarietà; ma il compenso di soli 5,50 franchi all'ora a bambino rende impossibile contare sul servizio offerto come fonte d'introito alternativa a un impiego fuori casa. «Con la votazione della riforma fisco-sociale e lo stanziamento di più fondi per conciliare lavoro e famiglia potrebbe essere incrementata l'indennità oraria. Non è escluso che questo ci porti qualche nuova famiglia».