Non in Svizzera, almeno: secondo l'università di Basilea, non vi sono collegamenti diretti con l'accresciuta concorrenza
BASILEA - Mondializzazione e commercio internazionale non fanno aumentare la disoccupazione, perlomeno non in Svizzera: a questa conclusione giunge uno studio dell'Università di Basilea.
La ricerca, pubblicata dallo Swiss Journal of Economics and Statistics, indica che dagli anni Novanta i salari dei lavoratori poco qualificati negli Stati Uniti sono scesi nel raffronto con il personale altamente qualificato, mentre in Svizzera tale divario non si è verificato, indica l'università basilese in un comunicato.
Tra i meno qualificati in Svizzera è stato comunque osservato un più forte aumento della disoccupazione rispetto alla categoria degli specializzati, peraltro in proporzioni più alte rispetto a tutti gli altri paesi dell'OCSE, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
Un gruppo di ricercatori della Facoltà di scienze economiche si è chiesto se questo fenomeno fosse da mettere in relazione alla mondializzazione. Dopo aver analizzato i dati di 33'000 persone impiegate nel settore industriale svizzero dal 1991 al 2008, è giunto alla conclusione che non vi sono collegamenti diretti tra accresciuta concorrenza e rischio individuale di ritrovarsi senza lavoro.
Il mercato del lavoro elvetico, secondo lo studio, funziona bene ed è stato in grado di assorbire i cambiamenti sui mercati mondiali. Il rischio accresciuto di disoccupazione tra il personale poco qualificato è dovuto ad altri fattori, come l'immigrazione e gli sviluppi della tecnologia.