Nella scelta di una professione, il guadagno viene dopo la conciliabilità lavoro-famiglia e il benessere in ufficio
LUGANO - Parola d'ordine: flessibilità, in nessun luogo così amata come in Svizzera. Qui il 15% dei lavoratori si aspetta di lasciare il proprio posto per uno migliore entro un anno, mentre solo uno su quattro aspira a rimanere nell'azienda in cui è attualmente occupato per il resto della vita: due percentuali che, teoricamente sommate, segnalano come la Confederazione elvetica sia il Paese europeo dove il ricambio è più facile e anche più ambito.
Il confronto con l'Europa - Svizzeri poco fedeli, se non leali, nei confronti di chi dà loro da vivere? Tutt'altro, secondo le conclusioni di Adp, multinazionale americana di gestione e amministrazione del personale che la scorsa estate ha intervistato 9'908 lavoratori tra Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Spagna, Svizzera e Regno Unito, al fine di individuare differenti umori: approcci, sentimenti, speranze e timori in un mercato che evolve con velocità progressiva.
Nessun posto è per sempre - La gente la pensava così anche anni fa, quando le tecnologie, l'urgenza di adattarsi al nuovo e lo spauracchio dei robot non avevano ancora intaccato l'umano sentire. Semplicemente, qui il mestiere avviato dopo la scuola non è mai - o quasi - stato considerato per la vita. Solo Polonia e Regno Unito vantano percentuali più basse (rispettivamente 17% e 20%) di individui che preferirebbero entrare in una ditta e da lì non spostarsi mai più.
Dei robot abbiamo poca paura - L'atteggiamento, dunque, è quello giusto per una società che le macchine stanno inesorabilmente trasformando. Non è un caso, dunque, se da queste parti la paura sia ai minimi: solo un dipendente su 5 si dichiara preoccupato, la metà dell'Italia (40%) e molto meno anche dell'Inghilterra (32%) o della media europea (28%).
Ma sottovalutiamo la riqualificazione - Eppure, paradosso, in Svizzera la riqualificazione del personale, in grado così di rispondere con competenze mirate alla concorrenza dei robot, è lasciata ai margini, secondo quella che è la percezione dei dipendenti. Si fa poco, troppo poco, stima chi sta dall'altra parte e più rischia sulla propria pelle.
La salute prima di tutto - Certo, poi i "padroni" sembrano avere a cuore come non mai la salute delle persone: solo il 7% ritiene sia trascurata. Lo stress, del resto, non è una rimostranza significativa in Svizzera, almeno fra coloro che hanno partecipato al sondaggio: solo il 15% dice di viverlo ogni giorno, percentuale più bassa dopo Paesi Bassi (10%) e Italia (13%), ma il 46% segnala però che è un'angoscia settimanale, e in questo caso i livelli sono i più alti dopo la Germania (19% ogni giorno, 55% una volta a settimana).
Incapaci di dare sempre il massimo - Così ne va della produttività, un grattacapo serio che tocca in maniera importante tutte le nazioni coinvolte nell'esame. Solo il 23% dice di essere in grado di dare il massimo «per tutto il tempo»; il 22% ammette di esserlo «per una parte del tempo» e il 10% addirittura «raramente» o «mai». Settore vendita, media e marketing i più penalizzati (36%). Ma da cosa?
La colpa è dei manager... - Non dalla buona volontà, o la sua mancanza, del personale. Al contrario, è la cattiva gestione ai piani alti che, secondo il 19%, incide poi sul rendimento di chi sta in basso, nonché sistemi e processi inefficienti (18%) e una tecnologia che lascia a desiderare (15%). La distrazione che viene dai social e dal telefonino, invece, è un problema solo per il 6%, ma sale al 16% fra chi ha meno di 24 anni.
...che ci trattano con due pesi, due misure - Quali, dunque, le colpe del management? Fra i peggiori difetti segnalati, fare differenze marcate fra uomini e donne. Che sia solo una questione emotivamente più sentita oppure rappresenti un reale disagio, fatto sta che ben il 29% dei cittadini elvetici ritiene sia necessaria una segnalazione del divario retributivo, il numero più alto dopo il 32% della Francia, con picchi fra i professionisti dei servizi finanziari.
I soldi sono cari solo a uno su tre - Resta il fatto, comunque, che i soldi non sono un problema in Svizzera. Anzi, al confronto con altri popoli, più alti della media come sono, neppure diventano un incentivo a fare bene; sono, semplicemente, norma, ovvietà. Per questo motivo, se in Europa la retribuzione è fondamentale per il 47%, in Svizzera si scende al 35%. Se vi sembra molto, prendete atto dunque che in nessun Paese è così poco. Più importante, nella scelta di un posto di lavoro e nel grado di soddisfazione, il rapporto con la vita privata (22%) e quello con i colleghi (21%), specie fra le donne.
Fuggire all'estero? E perché mai - Tutto sommato, in Svizzera si sta bene. Lo mostrano coloro che vorrebbero fuggire all'estero: solo il 18% prenderebbe in considerazione questa opzione. Nel caso, sceglierebbe il Nord America, mentre in Svizzera verrebbero volentieri i tedeschi. La fiducia in se stessi e nelle proprie competenze è fra le più elevate, 85%; è lontana però ormai anni luce dai livelli di appena due anni fa, quando sfoggiava un 93% che faceva invidia a tutti.
Sempre meno ottimisti e fiduciosi in noi stessi - Il declino è cominciato e anche l'ottimismo, che di norma altrove aumenta, qui segna un lieve calo (da 80% a 79%). A portarlo verso il basso gli over 55, che si considerano fra i più penalizzati da un sistema lavorativo privo di rispetto, giurano, per l'età e che preclude prospettive di carriera a chi non è giovanissimo.