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STATI UNITI«Nessun complotto dell'Fbi contro Trump»

09.12.19 - 20:30
Ci furono errori e omissioni, ma non si mette in dubbio la legittimità delle indagini
keystone-sda.ch / STF (Evan Vucci)
«Nessun complotto dell'Fbi contro Trump», è la conclusione del rapporto dell'ispettore generale del ministero delle giustizia Michael Horowitz.
«Nessun complotto dell'Fbi contro Trump», è la conclusione del rapporto dell'ispettore generale del ministero delle giustizia Michael Horowitz.
«Nessun complotto dell'Fbi contro Trump»
Ci furono errori e omissioni, ma non si mette in dubbio la legittimità delle indagini

WASHINGTON - In attesa degli sviluppi dell'indagine di impeachment sull'Ucrainagate, proseguita oggi alla Camera con la presentazione delle prove, arriva una prima 'sentenza' sulla genesi del Russiagate. «Nessun complotto dell'Fbi contro Trump», è la conclusione del rapporto dell'ispettore generale del ministero delle giustizia Michael Horowitz.

Un documento di oltre 400 pagine che stigmatizza alcuni imbarazzanti errori e omissioni da parte dell'Fbi, anche nella richiesta per intercettare la campagna di Trump. Ma che esclude pregiudizi dei vertici, scarta l'ipotesi di infiltrazioni nella medesima campagna e conferma la legittimità delle indagini, respingendo così l'accusa del tycoon che fu un complotto del 'deep state' per abbatterlo. A Trump tuttavia basteranno forse alcuni passaggi per sollevare altra polvere, mentre il suo fidato attorney general William Barr non condivide le conclusioni (le indagini dell'Fbi furono «intrusive») e confida nel rapporto della parallela inchiesta penale.

Le conclusioni divergono - Intanto alla commissione Giustizia della Camera gli avvocati che rappresentano i democratici e i repubblicani sono arrivati a conclusioni diametralmente opposte sulle prove a favore o contro la messa in stato d'accusa per l'Ucrainagate, ossia le pressioni del presidente su Kiev per indagare il suo rivale nella corsa alla Casa Bianca Joe Biden usando anche il blocco degli aiuti militari all'Ucraina. Un'udienza tesa, con schermaglie procedurali, cartelli-slogan e scambi di accuse acrimoniose che rispecchiano le divisioni di un Paese spaccato a metà in uno dei momenti più drammatici per la sua vita democratica.

«Donald Trump ha messo se stesso davanti al Paese, ha violato le sue responsabilità elementari e il suo giuramento», ha esordito l'arcigno presidente democratico della commissione Giustizia Jerrold Nadler, secondo cui la visita in Ucraina la scorsa settimana di Rudy Giuliani, l'avvocato personale del presidente, aggrava «un modello di condotta» che continua a «mettere a rischio il Paese».

Gli ha risposto a muso duro Doug Collins, il numero due repubblicano della commissione, che si è visto negare la richiesta di testimoni: «I democratici non si sono più ripresi dopo che Trump è diventato presidente. È dal 2017 che vogliono metterlo in stato d'accusa e pensano che se non lo faranno ora vincerà ancora alle prossime elezioni. È solo politica spettacolo!», ha denunciato. Poi è toccato ai legali dei due partiti esporre prove ed argomentazioni sull'impeachment, rispondendo alla cross-esamination dei deputati.

«Le prove che Donald Trump ha abusato del suo potere sono chiare e schiaccianti», ha sostenuto Barry Bark, l'avvocato che rappresenta i democratici insieme a Daniel Goldman. «Il presidente ha usato il potere del governo per una faccenda di politica interna, mettendo la sua rielezione al di sopra della sicurezza del paese e dell'integrità delle elezioni», ha aggiunto il legale, che per illustrare le prove ha usato video con spezzoni di testimonianze chiave. «Le interazioni del presidente con l'Ucraina sono un pericolo chiaro e persistente per le elezioni Usa», gli ha fatto eco Goldman.

Stephen Castor, l'avvocato che rappresenta i repubblicani, ha invece giustificato l'operato del tycoon nel perimetro della politica: «Trump non ha abusato del suo potere né ha ostruito il Congresso, non c'è alcuna prova in questo processo frettoloso». «Caccia alle streghe», ha twittato Trump durante l'udienza. Ma il countdown verso la messa in stato d'accusa è ormai scattato: entro fine settimana la commissione Giustizia voterà gli articoli, che spaziano dall'abuso di potere all'ostruzione del Congresso e della giustizia fino alla corruzione. Poi la Camera voterà in sessione plenaria entro Natale. Il processo in gennaio al Senato, dove i repubblicani sono maggioranza e non ci sono i due terzi dei voti per la condanna.

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