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STATI UNITIScandalo delle email di Hillary Clinton: «Comey non fu di parte»

14.06.18 - 20:56
L'ex direttore della polizia federale statunitense Fbi James Comey non rispettò il protocollo ma le sue azioni non furono politicamente motivate
Keystone
Scandalo delle email di Hillary Clinton: «Comey non fu di parte»
L'ex direttore della polizia federale statunitense Fbi James Comey non rispettò il protocollo ma le sue azioni non furono politicamente motivate

WASHINGTON - Non fu di parte. Questo stabilisce il rapporto del Dipartimento di giustizia sull'indagine che riguardò l'uso da parte dell'allora segretaria di Stato Hillary Clinton di un account e di un server privato per le sue email.

Il rapporto è stato voluto dal presidente Donald Trump ma che, pur non consegnando all'opinione pubblica la testa di Comey, per il presidente Usa può ancora valere come riprova che la sua decisione di licenziarlo non fu poi sbagliata.

«Potrebbe essere un bel regalo di compleanno (compie oggi 72 anni ndr)»: così nei giorni scorsi Trump aveva espresso la sua impazienza per il documento. Cinquecento pagine e 18 mesi di lavoro, per giungere alla conclusione che Comey "non rispettò il protocollo ma non non fu politicamente di parte". Critiche sì, per insubordinazione in particolare ma non vere e proprie condanne verso il direttore del Bureau, che poi Trump presidente licenziò. Una decisione che ha sempre difeso strenuamente. Così come il dito è rimasto puntato sulla condotta dell'Fbi nella gestione della "vicenda Clinton".

Il documento ripercorre così i passaggi chiave del cosiddetto emailgate, fino alle elezioni del 2016. Motivo di scontro fra Donald Trump con l'Fbi, accusata a più riprese di gestione approssimativa della vicenda. Il rapporto anche su questo non fornisce particolari elementi di novità, se non un messaggio non diffuso prima, un sms scambiato fra due agenti dell'Fbi poi allontanati dal Bureau investigativo.

«Impediremo a Trump di diventare presidente», recita l'sms incriminato: fu scambiato nell'agosto del 2016 fra Peter Strzok - uno degli investigatori principali sia per l'emailgate sia per il Russiagate - e una avvocato dell'Fbi, Lisa Page, scrive il Washington Post, sottolineando che, stando ad alcune fonti, potrebbe essere questo l'elemento più dannoso per l'Fbi che emerge dal documento.

«(Trump) non diventerà mai presidente, vero?», scrisse Page a Strzok. «No. No non lo diventerà. Lo fermeremo», rispose Strzok. Altri messaggi simili scambiati fra i due, noti come gli agenti-amanti, erano già emersi nei mesi scorsi, valutati, passati in rassegna anche al Congresso. Avevano contribuito ad alimentare le richieste di fare chiarezza e a sottolineare l'importanza del rapporto poi ultimato e diffuso oggi.

Il ruolo di Comey quindi, marchiato come non ortodosso, da quella decisione nel luglio 2016 di annunciare pubblicamente e senza la previa approvazione del dipartimento di Giustizia, che sebbene il comportamento di Hillary Clinton fosse stato "estremamente negligente" lui non raccomandava che venissero emesse accuse nei confronti dell'allora candidata presidenziale.

Poi a ottobre, a ridosso delle elezioni di novembre, Comey in una lettera al Congresso annunciò che l'Fbi stava esaminando nuovo materiale sul caso Clinton. Comey ha in più occasioni difeso le sue azioni, affermando che date le circostanze sarebbe stato criticato per qualsiasi decisione e opto' quindi per la trasparenza.
 
 

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