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ITALIALicenziato dalla Fiat, si incatena sotto casa di Di Maio

06.06.18 - 22:01
Il 10 giugno davanti ai cancelli dello stabilimento di Pomigliano era stato inscenato il "funerale" di Marchionne
contropiano.org
Licenziato dalla Fiat, si incatena sotto casa di Di Maio
Il 10 giugno davanti ai cancelli dello stabilimento di Pomigliano era stato inscenato il "funerale" di Marchionne

ROMA - Licenziati dalla Fiat nel 2014 per aver inscenato davanti ai cancelli dello stabilimento di Pomigliano, in Campania, il funerale dell'amministratore delegato Sergio Marchionne, i cinque operai che hanno ingaggiato una guerra legale contro l'azienda - ottenendo anche una vittoria - perdono ora ogni speranza di riottenere il proprio posto di lavoro: la Cassazione ha accolto il ricorso di Fca e, cancellando la decisione della Corte d'appello di Napoli che aveva disposto il reintegro, ha stabilito che il licenziamento per giusta causa è legittimo perché la «macabra rappresentazione scenica» ha travalicato i limiti della dialettica sindacale.

E la sentenza ha rischiato di avere un epilogo drammatico quando uno dei cinque lavoratori, Mimmo Mignano, si è incatenato davanti alla casa della famiglia del vicepremier Luigi Di Maio a Pomigliano d'Arco, e in una forma di protesta eclatante ed estrema si è cosparso il capo di benzina.

Bloccato dalla forze dell'ordine che lo hanno soccorso, l'uomo è stato portato in ospedale con forte bruciore agli occhi. Chiede l'intervento del neo ministro del Lavoro, che tra l'altro domani sarà nella sua città per un appuntamento già programmato e potrebbe incontrare gli operai licenziati.

La battaglia di Mimmo Mignano, con alle spalle altre due cause per licenziamento, assieme a Marco Cusano, Antonio Montella, Massimo Napolitano e Roberto Fabbricatore, aveva avuto una ribalta anche al Festival di Sanremo di quest'anno, quando lo Stato Sociale si era presentato sul palco dell'Ariston con il nome dei cinque appuntati sul rever della giacca in segno di solidarietà.

Dopo il reintegro per due anni gli operai sono stati tenuti fuori dall'azienda, benché a salario pieno: «una vita in vacanza» forzata, appunto, come cantato dai ragazzi della band, che gli operai sono andati a ringraziare.

Nei giorni della contestazione nel giugno del 2014 il clima era pesante a Pomigliano. Un'operaia in cassa integrazione si era suicidata un paio di settimana prima, un altro operaio suicida aveva lasciato una lettera in cui riconduceva le ragioni della sua scelta alla precarietà lavorativa. I cinque, ritenendolo responsabile, avevano inscenato con un manichino il suicidio di Marchionne davanti al polo logistico di Nola con tute macchiate di sangue, distribuendo un finto "testamento" dell'ad.

Una protesta simile si era ripetuta il 10 giugno davanti ai cancelli dello stabilimento di Pomigliano con il "funerale" di Marchionne. Le principali sigle sindacali si erano dissociate. Una decina di giorni dopo l'azienda aveva disposto il licenziamento, confermato un anno più tardi dal Tribunale di Nola. La Corte d'appello di Napoli, invece, nel 2016 aveva disposto il reintegro, ritenendo legittimo, per quanto aspro, «l'esercizio del diritto di critica» tramite «una rappresentazione sarcastica priva di violenza».

Secondo la Cassazione, però, neppure la satira «può esorbitare la continenza» con l'attribuzione di qualità «disonorevoli», «riferimenti volgari» e «infamanti». «Le modalità espressive della critica manifestata dai lavoratori - scrive la sezione lavoro della Suprema Corte - hanno travalicato i limiti di rispetto della democratica convivenza civile», con «un comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro». Ricorda che la libertà dell'attività sindacale non può travalicare i limiti del cosiddetto «minimo etico». E ravvisando un errore di diritto nella decisione d'appello, ha deciso nel merito la causa confermando i licenziamenti.

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