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ISRAELESoldato condannato, il Paese si spacca

04.01.17 - 21:16
Il premier Netanyahu: «Abbiamo un solo esercito, è alla base della nostra esistenza. Io sono favorevole a una grazia». Anp: «Processo farsa per sfuggire alla Corte Internazionale di giustizia»
Soldato condannato, il Paese si spacca
Il premier Netanyahu: «Abbiamo un solo esercito, è alla base della nostra esistenza. Io sono favorevole a una grazia». Anp: «Processo farsa per sfuggire alla Corte Internazionale di giustizia»

TEL AVIV - Israele si scopre più lacerato che mai dopo che la Corte marziale di Tel Aviv ha riconosciuto oggi responsabile di omicidio colposo il sergente Elor Azaria, 20 anni, che nel marzo scorso a Hebron (in Cisgiordania) sparò ad un assalitore palestinese già neutralizzato e ferito a terra. La sentenza sarà pronunciata il 15 gennaio, e Azaria rischia anni di carcere, anche se la difesa ha già annunciato che farà appello.

"E' un giorno duro e doloroso per tutti noi, per Elor e la sua famiglia, per i soldati israeliani e per molti cittadini, me incluso", ha detto il premier Benyamin Netanyahu. "Abbiamo un solo esercito, è alla base della nostra esistenza. I soldati devono essere tenuti al di fuori dalle divisioni politiche. Io - ha affermato - sono favorevole ad una grazia".

Le parole del premier sono arrivate in serata dopo una giornata di proteste e polemiche infuocate. Già durante la lettura del verdetto, nelle vicinanze del ministero della Difesa di Tel Aviv, centinaia di ultrà di destra si sono scontrati con la polizia, invocando la liberazione di Azaria. Appreso l'esito del processo, hanno lanciato minacce di morte al capo di Stato Maggiore, gen. Gady Eisenkot, nonché verso la giudice Maya Heller e il capo dell'accusa, Nadav Weissman, che sono stati messi sotto scorta. "Faremo tremare il Paese", hanno minacciato gli ultrà.

Anche il mondo politico appare spaccato. Lo stesso ministro della Difesa, il 'falco' Avigdor Lieberman, ha ammesso di non aver gradito la condanna. A difendere le gerarchie militari e la loro determinazione ad imporre la necessaria disciplina delle truppe sono state in prevalenza le forze di centrosinistra, nonché l'ex ministro della Difesa Moshe Yaalon (Likud): fu rimosso dall'incarico all'epoca proprio per aver duramente biasimato il comportamento di Azaria.

Da parte sua l'Anp ha sostenuto che si è trattato di un processo "farsa", condotto da Israele nel tentativo di sfuggire al rischio di essere trascinato di fronte alla Corte internazionale di giustizia. Sul banco degli imputati, ha accusato l'Autorità palestinese, doveva essere posto semmai "un regime che consente l'uccisione di palestinesi".

L'episodio che ha sconvolto la vita di Azaria avvenne nella città più turbolenta della Cisgiordania, Hebron, nei mesi in cui gli attacchi palestinesi si susseguivano a ritmo serrato. Quel giorno c'erano allarmi dell'intelligence su un possibile attentato di Hamas in concomitanza con il carnevale ebraico. Di prima mattina, due assalitori palestinesi ferirono a coltellate due soldati di pattuglia: il primo aggressore fu ucciso dal fuoco di reazione, il secondo - Abdel Fattah Sharif - fu ferito in modo grave. Azaria sopraggiunse solo undici minuti dopo e sparò contro di lui il proiettile mortale.

La giudice Heller ha trovato infondate tutte le sue spiegazioni, fra cui il timore che Sharif nascondesse sotto al giubbotto un corpetto esplosivo. Il suo sparo, ha stabilito, fu motivato piuttosto dal desiderio di vendetta. La disciplina militare vieta di aprire il fuoco verso nemici neutralizzati e quello fu dunque un omicidio colposo. Ma Azaria - viene fatto osservare - potrebbe aver assorbito fra i coloni di Hebron un codice di comportamento ben diverso, dopo che esponenti politici di destra e rabbini da tempo andavano predicando che "ogni terrorista palestinese armato di coltello merita comunque la morte".

Ora il timore dei vertici militari è che quello di Azaria non sia un caso isolato di indisciplina bensì un fenomeno che rischia di prendere piede fra i soldati che agiscono nei Territori e che sono sempre più esposti a messaggi anche eversivi diffusi anche attraverso i social network.

Aldo Baquis, Ansa 

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