Cerca e trova immobili

MONDOQuel "primo passo", due anni fa, del Covid fuori dalla Cina

08.01.22 - 19:30
Era l'8 gennaio 2020 e una turista di Wuhan sbarcava a Bangkok. La sua febbre non sfuggì all'occhio delle termocamere.
Keystone (foto d'archivio)
Il primo caso ufficiale di positività al virus SARS-CoV-2 fuori dalla Cina fu confermato in Thailandia. La persona contagiata, una 61enne cinese, arrivò all'aeroporto di Bangkok l'8 gennaio 2020 da Wuhan e fu rilevata da una telecamera termica.
Il primo caso ufficiale di positività al virus SARS-CoV-2 fuori dalla Cina fu confermato in Thailandia. La persona contagiata, una 61enne cinese, arrivò all'aeroporto di Bangkok l'8 gennaio 2020 da Wuhan e fu rilevata da una telecamera termica.
Quel "primo passo", due anni fa, del Covid fuori dalla Cina
Era l'8 gennaio 2020 e una turista di Wuhan sbarcava a Bangkok. La sua febbre non sfuggì all'occhio delle termocamere.
Le autorità thailandesi confermarono il caso pochi giorni dopo, il 13 gennaio. Oggi, a due anni di distanza, quello rimane uno dei pochi "primi passi" a noi conosciuti del percorso del SARS-CoV-2.

BANGKOK - Ad accorgersi per prime della sua presenza furono le telecamere termiche in uso all'Aeroporto Internazionale di Bangkok-Suvarnabhumi. Il virus viaggiava a bordo di una turista cinese di 61 anni* che, esattamente due anni fa - era l'8 gennaio del 2020 -, atterrava sul suolo thailandese con un volo diretto decollato dalla sua Wuhan, la città dello Hubei che buona parte del mondo ancora non conosceva.

Non si parlava ancora di Covid-19 e nemmeno di SARS-CoV-2. Un nome di fatto non lo aveva. Lo si chiamava «il nuovo misterioso coronavirus» o «la polmonite di Wuhan», come ci ricordano i titoli dei giornali di quei giorni. Di certo nessuno, tra la gente comune, ipotizzava che quello potesse essere l'innesco di una nuova e devastante pandemia. O di essere in prossimità di un crocevia della storia umana. Era qualcosa di lontano e assai poco tangibile; che riguardava gli altri insomma. Una cornice di immagini quasi aliene: strade del tutto deserte, negozi e bar chiusi, mascherine sui volti. «Qui non accadrà»; un po' tutti devono averlo pensato. Non sapevamo che dietro a quel primo passo "ufficiale" mosso all'estero - e che le autorità thailandesi avrebbero confermato alcuni giorni dopo, il 13 gennaio - il virus ne aveva in realtà già compiuti molti altri. Ed era arrivato in Europa già sul finire del 2019, come alcune analisi delle acque reflue effettuate in Italia hanno successivamente confermato.

Quando era solo un problema della Cina
Ma in quei giorni, il misterioso virus era sostanzialmente un problema di Wuhan. Un problema della Cina, non del mondo Occidentale. Non di tutti. Non ancora. E infatti proprio quello, lo ricordiamo, era il criterio numero uno per identificare le persone che ponevano potenzialmente un rischio per la diffusione della nuova e misteriosa malattia. «Siete stati a Wuhan di recente?»; la sintesi del protocollo. Anche le comunicazioni dell'Oms in quei primi giorni dipingevano uno scenario dai tratti prevalentemente locali. In parallelo alla conferma delle autorità thailandesi, l'agenzia ratificava a sua volta il singolo caso e scriveva pure che «la possibilità di contagi identificati in altri Paesi non era inattesa», rilanciando l'appello a essere pronti e vigili. Senza correre il rischio di fare spoiler: non lo saremmo stati abbastanza.

L'importanza dei "primi passi"
Quello che avveniva 24 mesi fa resta uno dei pochi "primi passi" documentati nero su bianco di una pandemia che ha percorso i suoi primi metri in un'ombra che ancora non siamo stati in grado di illuminare. E che, non possiamo escluderlo, potrebbe anche restare tale; al riparo tra pipistrelli, pangolini, i banchi umidi del mercato di Wuhan, quelle indagini incorniciate da tafferugli politici internazionali e qualche freno a mano tirato di troppo, che finora non hanno portato a molto. La domanda però resta ricorrente, anche tra i non addetti ai lavori. Ci serve davvero sapere come la pandemia è iniziata? E se sì, per quale motivo?

La risposta forse più adeguata - pubblicata nell'estate 2020 ma ancora attualissima - la ritroviamo tra le pagine di un articolo comparso sulla rivista "The American Journal of Tropical Medicine and Hygiene": «Comprendere come il Covid-19 sia emerso è un fattore critico di una ripida curva d'apprendimento che dobbiamo rapidamente acquisire. E mentre facciamo i conti con il numero crescente di morti e gli sconvolgimenti provocati dalla pandemia alla nostra società, non dobbiamo perdere di vista come questa sia iniziata e il come e il perché non ci siamo accorti dei campanelli di allarme». Ma soprattutto «cosa possiamo fare per evitare che questo accada di nuovo».

*L'8 gennaio 2020, la 61enne cinese si imbarcò dalla città di Wuhan alla volta della capitale thailandese. Una vacanza di gruppo con altre quindici persone (di cui cinque familiari). Già da qualche giorno però, come avrebbe in seguito precisato l'Oms, la donna accusava i primi sintomi dell'infezione: febbre, gola irritata, mal di testa e brividi. Una volta giunta all'aeroporto di Suvarnabhumi, uno degli scanner rilevò la sua temperatura elevata. La 61enne fu quindi trasferita in ospedale per ulteriori accertamenti, sia sulle sue condizioni di salute che su quale fosse l'origine del contagio. La donna, come emerse durante le indagini svolte dalle autorità sanitarie, era sì solita frequentare un mercato locale di Wuhan. Non si trattava però del Huanan Seafood Wholesale Market, quello - ora chiuso - che tutti ricordiamo come il primo focolaio di Covid-19.

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
COMMENTI
 
NOTIZIE PIÙ LETTE