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STATI UNITIDietro l'algoritmo che decide cosa imbavagliare sui social

18.08.20 - 23:27
La pandemia ha reso ancora più complicato il controllo sui contenuti veicolati dei social.
Keystone
Dietro l'algoritmo che decide cosa imbavagliare sui social
La pandemia ha reso ancora più complicato il controllo sui contenuti veicolati dei social.
Esiste un protocollo d'intesa tra Facebook & Co, ma le fake corrono più veloce dei controllori

WASHINGTON - Il dibattito è aperto da sempre. Soprattutto dopo che anche il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è finito nel mirino della censura di Facebook e Twitter per la frase sull’immunità dei bambini al Covid.

Il ginepraio - Ma come funziono gli algoritmi con cui i social, da Facebook a Instagram passando per Twitter, Youtube e compagnia, regolano la censura delle immagini e dei contenuti pubblicati? È un vero ginepraio che si aggiorna e si complica di giorno in giorno di pari passo con la crescita del mondo virtuale a cui pare nessuno possa rinunciare.

Condivisioni virali - Un problema che è aumentato nell’ultimo periodo segnato dal coronavirus e legato al fenomeno delle fake news. Tanti e troppi esperti in giro per il web che hanno portato a condivisioni virali di teorie delle più disparate creando disinformazione e panico maggiore del dovuto legato alla già allarmante pandemia. Per questo proprio Google, Facebook, Linkedin, Twitter, Microsoft e Reddit hanno firmato una sorta di protocollo d’intesa per limitare drasticamente la diffusione di notizie false sul coronavirus e sul Covid-19. In una dichiarazione congiunta, le aziende hanno espresso l’intenzione di “combattere tutte assieme le falsità e la disinformazione sul virus, promuovendo contenuti autorevoli e condividendo aggiornamenti critici in coordinamento”con i governi e le autorità sanitarie di tutto il mondo.

La mannaia sulle foto - Altra materia molto sensibile sono le foto e i contenuti considerati “hot” e rimossi sempre in numero maggiore dai vari profili. Una vera e propria mannaia che si abbatte soprattutto sulle donne le più colpite dalla censura. Ma che finisce per colpire inevitabilmente anche la pubblicazione e condivisione di materiale riguardante minori. A livello “formale” la spiegazione è, per essere classificate come adatte e un pubblico giovane, c’è bisogno di censurare immagini esplicite che potrebbero essere considerate dannose, sconvolgenti o sgradevoli per gli utenti più giovani. Ma non tutti sono d’accordo e i movimenti femministi in rete aumentano chiedendo uguaglianza di trattamento ad esempio sul tema dei capezzoli mostrati univocamente da uomini e donne.

I divieti “immotivati” - Non convincono nemmeno le policy stesse, ossia le norme di condotta, e soprattutto l’agire dei social spesso insindacabile. Per esempio, Google vieta “contenuti inappropriati” come “intimidazioni” e “discriminazione”, ma non dice nulla sul significato di questi divieti nella pratica. In passato dopo una censura di un articolo, lo scrittore Marcello Veneziani ha denunciato: «Quando un algoritmo prende di mira un contenuto (di qualsiasi formato esso sia: testo, link, foto o video) o un annuncio, lo passa ai revisori in carne e ossa che, nel caso in cui rifiutino l’annuncio, forniscono pochissime spiegazioni – non riuscendo, ad esempio, a chiarire perché un contenuto sull’immigrazione o sull’aborto sia considerato inappropriato».

Social di regime - E dire che ci sono poi casi limite in cui i “regimi” si frappongono tra le policy dei social e la libertà d’espressione. Dalla Cina alla Russia passando per la Turchia dove il parlamento ha recentemente approvato una controversa legge che consentirà al governo un maggiore controllo sui social media.

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