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TURCHIAErdogan: «Il mondo ci sostenga o si prenda i rifugiati»

15.10.19 - 09:51
Il presidente turco lo ha scritto in un editoriale sul Wal Street Journal, mentre continuano le ostilità nel nord della Siria e Ankara agisce contro i curdi anche all'interno dei confini
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«La Turchia sta intervenendo dove altri hanno mancato di agire»: è il titolo di un editoriale del presidente turco Erdogan sul Wall Street Journal.
«La Turchia sta intervenendo dove altri hanno mancato di agire»: è il titolo di un editoriale del presidente turco Erdogan sul Wall Street Journal.
Erdogan: «Il mondo ci sostenga o si prenda i rifugiati»
Il presidente turco lo ha scritto in un editoriale sul Wal Street Journal, mentre continuano le ostilità nel nord della Siria e Ankara agisce contro i curdi anche all'interno dei confini

ANKARA - «La comunità internazionale deve sostenere gli sforzi del nostro Paese o cominciare ad accettare i rifugiati» dalla Siria. Lo scrive il presidente turco Recep Tayyip Erdogan in un editoriale pubblicato sul Wall Street Journal per sostenere le sue ragioni sull'offensiva militare contro i curdi nel nord-est della Siria.

«La Turchia sta intervenendo dove altri hanno mancato di agire», è il titolo scelto dal leader di Ankara per il suo intervento sul quotidiano americano. «I flussi di rifugiati siriani, la violenza e l'instabilità ci hanno spinto ai limiti della nostra tolleranza», scrive Erdogan, che ricorda l'impegno del suo Paese nell'ospitare 3,6 milioni di rifugiati siriani e rivendica di aver speso «40 miliardi di dollari per offrire loro educazione, assistenza sanitaria e alloggio».

Tuttavia, insiste, «senza supporto finanziario internazionale non possiamo impedire ai rifugiati di andare in Occidente». Erdogan spiega quindi di aver deciso l'offensiva in Siria dopo aver «concluso che la comunità internazionale non avrebbe compiuto i passi necessari» ad affrontare la situazione. 

Un altro tema delicato è quello dei prigionieri di Daesh: «Ci assicureremo che nessun combattente dell'Isis lasci il nord-est della Siria» aggiunge il presidente turco.

Le operazioni continuano - Mentre il mondo legge le parole di Erdogan continuano le operazioni militari nel nord della Siria: secondo il ministero della Difesa turco è salito a 595 il numero dei "terroristi neutralizzati" (cioè uccisi, feriti o catturati) dall'inizio dell'operazione militare. Si tratta di un aggiornamento della cifra precedente di 560, diffusa ieri sera. Erdogan aveva precisato ieri che almeno 500 di questi combattenti sono stati uccisi. 

«Abbiamo salvato dall'occupazione dei terroristi mille chilometri quadrati di territorio» nel nord-est della Siria, ha precisato Erdogan riferendo - da Baku, capitale dell'Azerbaigian, dove si trova per un vertice regionale - sugli sviluppi dell'offensiva militare. «Presto metteremo in sicurezza» l'intero confine turco-siriano «da Manbij al confine con l'Iraq», ha aggiunto, confermando così l'intenzione di estendere l'offensiva anche ai centri strategici ancora sotto il controllo delle milizie curde, come Kobane e la 'capitale' del Rojava, Qamishli. «Ci assicureremo che i rifugiati tornino a casa».

I raid turchi delle scorse ore hanno preso di mira in particolare Tal Abyad, una delle principali vie d'accesso della sua offensiva, giunta al settimo giorno. Scontri si segnalano anche a Ras al Ayn, l'altro valico d'ingresso iniziale dell'incursione di Ankara, circa 120 km più a est, dove i curdi stanno tentando una resistenza. Lo riferiscono media turchi.

La risposta curda - Le tv turche riportano che i combattenti curdi hanno sparato nuovi colpi di mortaio verso il territorio turco. Sarebbe di almeno 2 civili uccisi e altri 12 feriti il bilancio dell'attacco secondo le autorità locali, dopo che inizialmente i media avevano parlato di «numerosi feriti» a seguito degli spari nella zona di Kiziltepe, nella provincia frontaliera di Mardin. Salgono così ad almeno 20 le vittime civili in territorio turco dall'inizio dell'operazione militare. 

Almeno un soldato turco è rimasto ucciso e altri 8 risultano feriti in scontri con le milizie curde nell'area di Manbij, la località strategica nel nord della Siria a ovest del fiume Eufrate contro cui Ankara ha avviato ieri sera un assalto. Lo riferisce la Difesa turca.

Morti due reporter curdo-siriani - Nel conto dei morti rientrano anche due reporter curdo-siriani, vittime di un raid aereo che ha avuto luogo domenica nella zona frontaliera di Ras al Ayn/Serekaniye. Lo riferisce il Rojava Information Center, piattaforma di attivisti e giornalisti curdo-siriani. Inizialmente si erano diffuse notizie non confermate della morte di un giornalista straniero e uno curdo-siriano, che sono state precisate nelle ultime ore.

Arrestati quattro sindaci curdi - La repressione decisa da Ankara si manifesta però anche all'interno dei confini nazionali: i sindaci del filo-curdo Hdp di quattro città del sud-est della Turchia a maggioranza curda sono stati arrestati stamani con accuse di "terrorismo" per presunto sostegno o associazione al Pkk. A finire in manette sono stati gli amministratori di Hakkari, Yuksekova, Nusaybin ed Ercis, località prossime ai confini con Siria, Iraq e Iran.

Gli arresti giungono dopo che negli ultimi giorni erano state fermate decine di attivisti con l'accusa di "propaganda terroristica" per la loro opposizione all'offensiva militare di Ankara nel nord-est della Siria, espressa sui social media o in altre forme pubbliche.

Sanzioni contro tre ministri - La comunità internazionale sta rispondendo alle azioni di Ankara (per ora) con lo strumento delle sanzioni. Il Dipartimento del Tesoro statunitense ha riferito che ci tra gli individui colpiti ci sono anche tre ministri in carica del governo turco: il responsabile della Difesa Hulusi Akar, il ministro dell'Interno Suleyman Soylu e il ministro dell'Energia Fatih Donmez, oltre ai ministeri della Difesa e dell'Energia nel loro insieme.

L'Onu denuncia: «160mila sfollati» - In tutto questo c'è anche il dramma degli sfollati siriani: secondo l'Onu, che cita fonti delle sue varie agenzie sul terreno che lavorano con partner umanitari locali e internazionali, sono 160mila in pochi giorni. La maggior parte dei civili che hanno abbandonato le loro case e i campi profughi dove erano ospitati si trovavano nella regione frontaliera con la Turchia e hanno cercato rifugio nelle principali città del nord-est siriano: Qamishli, Hasake, Raqqa.

Aiuti umanitari bloccati - In queste ore concitate l'aiuto umanitario nel nord-est siriano si è praticamente fermato a causa della partenza di gran parte dello staff straniero e dell'interruzione delle attività delle organizzazioni internazionali. È la denuncia della Mezzaluna Rossa curdo-siriana, che si definisce come l'unica organizzazione umanitaria che fornisce aiuto diretto per far fronte all'emergenza.

La decisione di interrompere gli aiuti e le attività e quella di ritirare lo staff straniero è stata presa da diverse organizzazioni internazionali dopo l'accordo tra forze curde e governo di Damasco. Quest'ultimo infatti considera la presenza di organizzazioni internazionali e operatori stranieri illegale, in quanto non regolamentato da Damasco ma dalle autorità curdo-siriane. Lo staff straniero rischia di essere arrestato dalle truppe governative ora presenti nel nord-est siriano.

«Un milione di rifugiati» - «In una prima fase riporteremo a casa un milione di rifugiati siriani, in una seconda tappa 2 milioni di rifugiati nella zona di sicurezza che stiamo creando con l'offensiva contro i curdi nel nord-est della Siria». Lo ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

275'000 sfollati nel nord-est - L'offensiva militare turca in corso nel nord-est della Siria ha provocato finora oltre 275'000 sfollati. Lo ha annunciato oggi l'Amministrazione autonoma del Rojava. Secondo una nota, tra gli sfollati vi sono 70'000 minori, costretti a lasciare diverse aree delle province settentrionali di Hasakeh e Raqqa a seguito della campagna militare turca iniziata il 9 ottobre contro le zone controllate dai curdi in Siria settentrionale e nord-orientale.

Molti sfollati dormono per le strade o nelle scuole a causa della mancanza di assistenza umanitaria visto che la maggior parte delle organizzazioni internazionali ha interrotto le proprie attività in questa regione.

Le autorità del Rojava fanno appello alle Nazioni Unite, alla Lega Araba e all'Unione europea perché intervengano immediatamente per fornire assistenza medica e supporto logistico per prevenire l'inasprimento della crisi umanitaria.

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