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UNIONE EUROPEALa Corte europea dà ragione a Google: il diritto all'oblio non è universale

24.09.19 - 13:33
I motori di ricerca, qualora dovessero accogliere una richiesta di diritto all'oblio da parte di un utente, non sono obbligati ad applicarla in tutte le versioni
Keystone
La Corte europea dà ragione a Google: il diritto all'oblio non è universale
I motori di ricerca, qualora dovessero accogliere una richiesta di diritto all'oblio da parte di un utente, non sono obbligati ad applicarla in tutte le versioni

BRUXELLES - La Corte di giustizia Ue dà ragione a Google: i motori di ricerca - qualora dovessero accogliere una richiesta di "diritto all'oblio" da parte di un utente - non sono obbligati ad applicarla in tutte le loro versioni.

La medesima Corte ha inoltre stabilito che il divieto di trattare determinati dati personali sensibili vale invece anche per i gestori dei motori di ricerca.

La prima sentenza della Corte riguarda il ricorso di Google Inc. contro una multa da 100mila euro ricevuta dal Commissione nazionale dell'informativa. Il colosso di Mountain View era stato sanzionato per essersi rifiutato di applicare la "deindicizzazione" dei link - il cosiddetto "diritto all'oblio" - a tutte le versioni del suo motore di ricerca.

I giudici del Lussemburgo sottolineano che per rispettare pienamente il diritto all'oblio sarebbe necessaria un'operazione a livello mondiale. Tuttavia, molti Stati terzi non riconoscono tale diritto o lo applicano diversamente. Di conseguenza, allo stato attuale non sussiste, l'obligo derivante dal diritto dell'Ue di effettuare tale deindicizzazione su tutte le versioni del suo motore.

Il motore di ricerca deve invece applicare il diritto all'oblio in tutte le sue versioni negli Stati membri dell'Ue, mettendo in pratica misure che permettano quantomeno di scoraggiare gli utenti dall'accedere, attraverso l'elenco dei risultati, a versioni "extra Ue" del motore stesso.

Il secondo blocco di sentenze riguarda invece il ricorso di quattro cittadini contro il rifiuto del Cnil francese di ingiungere alla società Google Inc. l'applicazione del diritto all'oblio nei loro confronti.

A questo proposito, la Corte sottolinea che il gestore di un motore di ricerca non è responsabile del fatto che dei dati personali sensibili compaiono su una pagina web pubblicata da terzi, ma dell'indicizzazione di tale pagina. Rientra quindi nei suoi compiti verificare se l'inserimento dei link nell'elenco dei risultati sia strettamente necessario per proteggere la libertà d'informazione degli utenti, oppure se questi possano essere "deindicizzati" su richiesta dell'interessato.

Per quanto riguarda i procedimenti penali, qualora non ritenesse di poter accogliere la domanda sul "diritto all'oblio" di una persona, il gestore del motore di ricerca è comunque tenuto a sistemare l'elenco dei risultati in modo tale che l'immagine globale che ne risulta per gli utenti rifletta la situazione giudiziaria attuale facendo comparire per primi i link verso pagine contenenti informazioni più recenti.

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