TOKYO - La clamorosa dichiarazione del nuovo primo ministro Shinzo Abe secondo il quale in Giappone "non esistono e non sono mai esistiti criminali di guerra", conferma la tendenza dei leader del paese del Sol Levante a negare, nonostante l'evidenza, i crimini commessi prima e durante la seconda guerra mondiale.
Crimini a lungo nascosti e impuniti: solo nell'agosto del 2002, dopo 57 anni, un tribunale giapponese dovette ammettere che migliaia di cinesi vennero uccisi durante esperimenti di vivisezione e dalle armi batteriologiche utilizzate dall'esercito imperiale. Oggi, per la prima volta nel dopoguerra, Abe ha messo ufficialmente in dubbio le sentenze del tribunale alleato che a Tokyo condannò all'impiccagione sette dei criminali "di prima categoria", aggiunti alla fine degli anni '70 al culto del sacrario bellico di Yasukuni.
A partire dal 1937 il Giappone, in aperta violazione del diritto internazionale, inizia una "sporca guerra" in Cina contro i nazionalisti di Chiang Kai-shek ed i guerriglieri rossi di Mao Tse-tung. Punta di diamante dell'offensiva è la famigerata unità 731 di stanza in Manciuria che non esita a vivisezionare centinaia di prigionieri di guerra e ad uccidere civili inermi per testare armi batteriologiche cospargendo dal cielo i germi della peste bubbonica e del colera.