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CANTONE«Giocate: e dimostrate chi siete»

28.05.17 - 18:04
Un parere d'esperto sul senso di X-Manager, torneo per aspiranti imprenditori
«Giocate: e dimostrate chi siete»
Un parere d'esperto sul senso di X-Manager, torneo per aspiranti imprenditori

MANNO - Luca Botturi non è solo docente e ricercatore al dipartimento formazione e apprendimento della Supsi. È game-designer: delle possibili finalità educative del gioco ha fatto un hobby e un'occupazione. A buon titolo, dunque, assicura: X-Manager, torneo organizzato da ImprendiTi per "formare" e incoronare il miglior giovane "imprenditore per finta" del Ticino, è comunque una scommessa vinta, al di là dell'esigua partecipazione.

Botturi, dunque è vero: giocando s'impara?

«Assolutamente sì. È una caratteristica propria del genere umano e di poche altre specie animali. Pensiamo ai bambini: a partire da un anno, giocano con qualsiasi cosa capiti. È il loro modo di imparare. Eppure, nella pedagogia la scoperta è relativamente recente». 

Come mai questo ritardo?

«La scuola nasce proprio con l'idea di far diventare "grandi" i bambini. E fino a poco fa il gioco veniva visto come antitesi. «Non giocare a scuola», diciamo ancora oggi ai nostri figli. Pian piano, anche grazie a grandi figure come Maria Montessori e Piaget, si è intuita invece la sua importanza. Per le maestre il momento del gioco è molto importante: si vedono come realmente sono le persone, emergono i talenti. Con i giusti stimoli, diventa un modo per mettersi alla prova».

Dunque sfatiamo il pregiudizio: vale anche, o soprattutto, per gli adulti?

«Esatto. Quasi tutti noi abbiamo mantenuto uno spazio di gioco nella nostra vita, ad esempio nello sport, o nei nostri hobby: sono attività "gratuite", che facciamo per il gusto di farle, come ogni buon gioco. Poi è vero che il gioco può diventare pericoloso, patologico, come nel gioco d'azzardo. L'adulto è un bambino che è diventato grande e come tale deve porsi dei limiti, trovare un equilibrio tra il non riuscire a smettere di giocare, come Peter Pan, e il perdere la capacità di giocare, come il Mr. Banks di Mary Poppins». 

Ma fare impresa non richiede piuttosto vocazione? 

«Negli ultimi quindici anni, anche nel fare impresa si è sviluppato invece molto il concetto di apprendimento tramite gioco e videogioco. In questo ambito funziona bene, perché permette di sviluppare le cosiddette soft skill, difficili da far emergere in contesto scolastico».

Di che cosa si tratta?

«Sono tutte quelle abilità che non si riescono a misurare in un compito in classe: saper comunicare bene, fare squadra, gestire i rapporti con gli altri, resistere al fallimento. Nei contesti di simulazione, come anche nello sport, emergono in tutta la loro importanza».

A questo punto, a far l'imprenditore s'impara?

«Sia inteso, giocando si può anche scoprire di non essere imprenditori. Ma almeno lo si sa. Ci sono cose, come il fare impresa, che non si possono fare per prova nella vita reale; il gioco diventa un'alternativa importante per mettersi alla prova. Esistono poi anche nel fare impresa comunque componenti tecniche che vanno imparate: ad esempio, stendere un business plan. E questo lo si può imparare giocando».


Eppure c'è chi non ha giocato per paura di sbagliare: una contraddizione?

«Una deformazione che in parte deriva dal contesto scolastico. Il gioco è proprio l'ambito dove posso sbagliare senza conseguenze gravi, come nel film The Game con Michael Douglas. Nel gioco non c'è, o non dovrebbe esserci, questa preoccupazione. Non a caso spesso ci si nasconde dietro a un nickname».

In questo caso si è usata un'app. Che ruolo hanno o avranno le nuove tecnologie?

«Le nuove tecnologie hanno trasformato il panorama del gioco. Sono una grande risorsa. Trovo che gli aspetti più significativi siano due. La simulazione, che premette di ricreare una situazione artificiale di grandissima complessità: pensiamo solo al Monopoly, a come diventerebbe se potessimo calcolare per esempio gli ammortamenti reali. Il secondo è la multimedialità, oggi come 3D e realtà aumentata: il gioco in questo modo diventa immersivo».

Un bene anche per i bambini?

«Per tutti. Non a caso si è coniato un nuovo termine che fonde educazione e entertainment: edutainment. Poi, certo, non si può imparare tutto giocando. Ma è una dimensione che a tutti si adatta e a tutti, in un sano equilibrio, puo fornire opportunità di crescita». 

 

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