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INTERVISTAI Modena City Ramblers a Bellinzona: "La Svizzera? Un esempio di convivenza e di grande civiltà"

20.05.08 - 08:26
Intervista a Massimo Ice Ghiacci, chitarrista del gruppo, che mercoledì sera si esibirà all’Espocentro di Bellinzona. La band appassionata di folk irlandese ritorna in Ticino con un nuovo album dal titolo “Bella Ciao” (Italian Combat folk for the masses).
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I Modena City Ramblers a Bellinzona: "La Svizzera? Un esempio di convivenza e di grande civiltà"
Intervista a Massimo Ice Ghiacci, chitarrista del gruppo, che mercoledì sera si esibirà all’Espocentro di Bellinzona. La band appassionata di folk irlandese ritorna in Ticino con un nuovo album dal titolo “Bella Ciao” (Italian Combat folk for the masses).


BELLINZONA – Si esibirà mercoledì sera all’Espocentro di Bellinzona la band emiliana Modena City Ramblers. Ritorna in Ticino sulla scia del nuovo album pubblicato a gennaio dal titolo “Bella Ciao” (Italian Combat folk for the masses), il primo album che ha pure una distribuzione per l’estero.

Più che il classico gruppo, i Modena City Ramblers è una “compagnia aperta”, dove quasi tutti i membri che hanno poi abbandonato la formazione effettiva, hanno continuato a collaborare con il gruppo. "Ciò è dovuto in parte alla natura del gruppo, che nacque proprio come formazione aperta, di arrivi e partenze, sull'impronta di quelle formazioni irlandesi” ci racconta Massimo Ice Ghiacci, chitarrista del gruppo - ma è dovuta anche al fatto che con tutti i componenti del gruppo non c'è mai stata una vera e propria rottura. In fondo quando rimane un'amicizia o un forte trasporto emotivo, c'è sempre un'occasione per ritrovarsi. Ed è proprio questo il bello di un gruppo che percorre una filosofia musicale basata sia sulla componente affettiva che su quella artistica".

Avete iniziato con i suoni irlandesi. Nel corso degli anni anche la vostra musicalità è cambiata. Cosa è rimasto oggi di quel genere iniziale?
"È rimasto tutto.  Più che parlare di abbandono di una certa ispirazione primaria, parlerei di stratificazione di tante altre influenze musicali che si sono in seguito depositate su una radice musicale, che è senza dubbio quella irlandese".

Da dove nasce questo amore per l'Irlanda?
"I suoni dell'Irlanda ci hanno permesso  di avvicinarci alla musica e considerarla un veicolo per trovare una saldatura tra le diverse generazioni. Ci ha dato la possibilità di inserire nella musica tematiche di lotta, senza necessariamente pensare di dover fare tutto ciò con potenti amplificatori, ma semplicemente con pochi strumenti acustici. Questa mancanza di sovrastrutture ci ha permesso di inventarci un nostro percorso musicale che sono sfociati in diverse direzioni e in diversi generi".

Su Internet si trovano versioni discordanti sull'origine del vostro nome. Qual è la versione ufficiale?
Il nome nacque in modo scherzoso durante i primi concerti negli anni novanta nei vari pub irlandesi. Erano delle esperienze a metà strada tra le session e il concerto vero e proprio. Ogni volta la band  si ritrovava con componenti diversi. Si scelse il nome dei Modena City Ramblers perchè molte formazioni folk irlandesi antepongono alla dicitura City Ramblers ("vagabondi della città") il nome  della città da cui provengono". 

Qualche anno fa avete realizzato un importante viaggio e concerto ad Auschwitz, al seguito dei “Treni della Memoria”. Che ricordo avete di quella esperienza?
"Cercando di stare lontani dalla retorica, posso dire che è stato un insieme di sensazioni e di riflessioni che ti entrano dentro come degli spilloni. È stata un'esperienza importante che è tornata in alcune canzoni come "Strangers in Birkineau". Fu un'occasione molto toccante condivisa con molte scuole italiane. Salimmo sul treno a Carpi, località che ospitava nella sua periferia uno dei piu grandi campi di smistamento in Italia, lì venivano raccolti tutti gli ebrei e prigionieri destinati ai campi di concentramento in Germania. Un campo di cui in Italia si ha troppo poco conoscenza. Io stesso, ci abito a circa 30 chilometri di distanza, e ne sapevo molto poco. L'Italia ancora oggi, dopo più di 50 anni, fa un'estrema fatica ad accettare di fare i conti con il proprio passato. Un passato che non è solo quello di "italiani brava gente", ma anche di collaborazione con la macchina di sterminio nazista".

La vostra idea di musica è molto legata alle tematiche sociali e politiche. Dicono che fate musica militante.
"È vero. Facciamo musica militante. Ma credo anche che non facciamo musica politicizzata, nel senso che non promuoviamo un partito politico. Facciamo una musica spesso legata all'impegno civile e alla militanza sociale. È una musica sì di lotta, lotta politica, non certo lotta partitica. Ci consideriamo di sinistra, ma non abbiamo la pretesa di fare politica attraverso la musica. Facciamo solo cultura".

Proprio questo forte senso civile vi ha spinti a realizzare  a gennaio il cd "Bella ciao - Italian Combat Folk for the Masses". Come è nata l'idea?
L'idea nasce dall'esigenza di ritagliarci un nostro posto anche all'estero. Nei nostri concerti fuori dall'Italia abbiamo sempre riscontrato un'ottima risposta da parte di chi veniva a vederci. Finora non avevamo avuto la possibilità di proporre i nostri lavori fuori dai confini nazionali. La possibilità è arrivata con la nostra etichetta discografica indipendente. Per il nostro primo cd distribuito all'estero siamo andati a rispescare i nostri vecchi pezzi. Ma non è una semplice raccolta, semmai è la fotografia di ciò che è il nostro patrimonio musicale da presentare al pubblico straniero".

Come avete scelto i brani?
"La selezione è stata fatta assieme al famoso musicista irlandese Terry Woods, membro dei Pogues. Insieme abbiamo scelto i brani più adatti per questo progetto che  ci presenta come un gruppo militante fin dalla scelta del titolo "Bella ciao", che è la canzone di ribellione più nota in tutto il mondo".

Nel 1999 avete pubblicato "L'Italia ai tempi dei Modena City Ramblers", oggi a distanza di quasi 10 anni da quel disco, come è cambiata l'Italia?
"Purtroppo è cambiata in peggio. Questo è il mio modesto parere e non pretendo di avere la verità in tasca. La mia sensazione di cittadino e musicista è che in questa decina di anni la situazione culturale in Italia sia notevolmente peggiorata. La televisione ha sicuramente trionfato nel  proporre  riferimenti culturali molto poveri. Ha contribuito a creare un tipo di cittadino cieco e sordo a qualsiasi tipo di riflessione. Dieci anni fa c'era la speranza di un cambiamento politico. Oggi la situazione è molto più triste".

Cosa fare dunque?
"Nel nostro piccolo cerchiamo attraverso la musica e la nostra visibilità di risvegliare le coscienze individuali e iniziare a fare un grande lavoro culturale".

Mercoledì sarete in Svizzera. Non è la prima volta. Che idea vi siete fatti del nostro Paese?
"Il Ticino è l'unico Stato fuori dall'Italia dove si parla italiano, e purtroppo qui in Italia non si sa nulla di ciò che accade nel vostro Cantone. La Svizzera è un paese strano, e nella sua stranezza  diventa uno Stato molto interessante. È un esempio di convivenza sotto lo stesso tetto di realtà linguistiche e culturali diverse. È bello vedere come, tre etnie - tedeschi, francesi e italiani - riescano a vivere civilmente insieme, popoli che fino al 1945 si sono scannati vicendevolmente. Tutte le volte che ci siamo esibiti in Svizzera siamo rimasti colpiti dal senso civico della popolazione. Un senso che in Italia è andato scomparendo. Ho assistito a un concerto punk vicino a Wintherthur, e ho visto ragazzi ubriachi che andavano a cercare il cassonetto della raccolta differenziata per gettare il bicchiere di plastica. È stata una constatazione quasi dolorosa, perché in Italia avviene l'esatto contrario".

A Bellinzona si è tenuto uno sciopero epocale per la storia della Svizzera. Tu hai mai partecipato a uno sciopero?
"Come lavoratore no, perché al di là di qualche lavoretto saltuario, il mio primo grande lavoro è stato quello di suonare nei Modena City Ramblers. Come studente invece ho partecipato a vari scioperi. Credo che lo sciopero sia il più importante strumento che i lavoratori hanno per far sentire le proprie ragioni".

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