di Alessandro Guazzotti; LX Treasury & Execution BSI
Con tutto il rispetto per le speranze di molti per una soluzione che in tempi brevi arresti la brusca caduta delle quotazioni petrolifere cui stiamo assistendo, l'accordo per il congelamento dei prezzi riportato dalle agenzie poche ore fa non ci convince.
I principali firmatari dell'intesa, il ministro del petrolio saudita Ali Al-Naimi e il suo corrispettivo russo Alexander Novak, si sono essenzialmente impegnati a congelare la produzione ai livelli di gennaio, in un disperato tentativo di fermare l'inevitabile ondata di vendite che è andata intensificandosi nell'ultimo mese. Si tratta in sostanza di un accordo non convenzionale stipulato tra paesi membri dell'OPEC e non, compresi Venezuela e Qatar. Da notare tuttavia che Iran e Iraq non intendono aderire al piano.
Si sono susseguite numerose indiscrezioni riguardo a un'eventuale azione dell'OPEC. Finalmente il mercato può contare su un qualche tipo di intesa, ma basterà a raggiungere un equilibrio tra domanda e offerta?
La risposta è semplicemente no, e il perché è presto detto:
La situazione di contango, cioè l'andamento crescente della curva dei future sul petrolio, non lascia certo intendere che un'inversione di tendenza sia alle porte: i prezzi a pronti e dei future a breve termine sono sensibilmente inferiori a quelli dei contratti a più lunga scadenza.
La risposta a tutto questo dovrà venire necessariamente dal lato della domanda, ma dobbiamo tutti essere consapevoli che la curva della domanda di carburante è un po' meno flessibile rispetto al prezzo di quanto diversi esperti stimino. Questo è probabilmente il motivo per cui la reazione degli operatori all'annuncio del congelamento è stata chiudere ulteriori posizioni sul petrolio.
Non molti credono all'intesa sul congelamento.
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